Sentiero Cipolliane
Il paleo-ambiente delle grotte cipolliane
Le Grotte Cipolliane si aprono nei calcari del Terziario che affiorano in prossimità del Capo di Leuca, sulla costa adriatica del Salento. Ad una decina di metri sul livello del mare il profilo scosceso della falesia si interrompe e arretra fino a costituire un pianoro, relativamente profondo, occupato in larga misura dai crolli di complessi carsici che un tempo dovevano estendersi ben oltre i risicati resti attualmente visibili.
Più probabilmente, in effetti, si tratta di ripari sotto roccia che risultano fortemente tormentati dall'azione erosiva del vento e dello spray marino. Ai piedi della rupe, in corrispondenza di tre ampie nicchie consecutve che ne scandiscono la morfologia generale, si trova un ricco giacimento preistorico, per molti versi assimilabile a quelli già individuati in altri siti del litorale.
A tal proposito è doveroso ricordare come questo territorio sia stato campo d'immagine privilegiato fin dal momento iniziale della Paletnologia in Italia, soprattutto in ragione della presenza lungo la costa di numerose cavità carsiche frequentate dall'uomo sin da epoca remotissima. Particolare minzione meritano, infatti, le celeberrime grotte di Romanelli e Zinzulusa. Una prima segnalazione dalla quale emergevano le potenzialità documentarie del deposito preistorico delle Cipolliane si ebbe ad opera di Carlo Cosma e Angelo Varola, nel Gennaio del 1960. Da quel momento in poi, e soprattutto nell'estate del 1962 e nel settembre del 1964, vennero condotte dall' Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria due campagne di scavo nell'area antistante il cosiddetto "riparo C", il più meridionale dei tre settori che realizzano il sistema carsico. Le indagini, maturare nel solco che la tradizione di studi paletnollogici nella Terra d'Otranto aveva segnato da oltre un cinquantennio, fornirono un significativo contributo per la puntuale definizione degli ambiti cronologici e culturali succedutisi, in particolare, nel Paleolitico Superiore (dai 40.000 ai 10.000 anni di oggi). Nella prima campagna venne anche recuperato un ciottolo calcareo con segni incisi paragonabile ad analoghi esemplari scoperti per la prima volta a Grotta Romanelli. Veniva altresì chiarita una successione climatico-ambientale dell'intero comprensorio geografico che, rispondendo all'alternarsi dei fenomeni glaciali, mutava radicalmente il suo aspetto.
Dal regime caldo del Paleolitico Medio, datato a Grotta Romanelli tra i 69.000 e i 40.000 anni da oggi, e contraddistinto da faune di tipo tropicale (Elephas antquus; Hippotamus amphibius; Rhinoceros merckii; Crocuta crocuta; Cervus elaphus; Bos primigenius; Oryctolagus cunilus; Canis lupus; Dama dama) si passava ad una fase fredda, raooresentata da specie appartenenti ad un habitat arido e di steppa (Equus hydruntinus; Rangifer trandus; Gulo gulo; Capra ibex; Capreolus capreolus; Alopex lagopus; Vulpes vulpes; Lepus eruopaeus).
Lo stesso periodo era connotato, inoltr, dalla presenza di avifauna xerofila o addirittura propria della facies oceanica, come le nord atlantiche e sub-artiche Alca impennis, Anser finmarchius, Anas Platyrhynchos conboschas, Fulica atra, Otis tarda, Otis tetrax, Pterocles orientalis, Colymbus septentrionalis.
Le oscillazioni climatiche determinano considerevoli variazioni del livello del mare, che nelle fasi finale del Pleistocene regredì ad una quota più bassa di un centinaio di metri rispetto a quella attuale con il conseguente avanzamento della linea di costa di almeno una decina di chilometri. Questo fu lo scenario in cui condusse la sua esistenza la specie antaomicamente moderna di uomo che, occasionalmente, frequentò quei ripari. Con altri intenti e forse a scopo culturale, gli stessi luoghi furono poi raggiunti dalle neolitiche, come testimoniano i livelli superciciali del giacimento dal quale provengono cocci di ceramica decorata ad impressioni o dipinta da bande color rosso insieme a lame di selce ed ossidiana.
(Sammarco M. e Parise M. - Ipogea n.4(2005): pp. 23-36)